How I met my roommate, una specie di fanfiction delirante

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Glowen
view post Posted on 12/5/2014, 19:24 by: Glowen
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abyssum abyssus invocat

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Questa è una sorta di fanfiction nata dal delirio su FB.
Non penso che sia adatta a Magicus, così la metto qui: dovete prenderla come il delirio che è.

AU babbano

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Ci sono svariate frasi che potrebbero passare per la testa di un diciottenne dopo che il proprio padre gli ha comunicato la sua intenzione di mandarlo a studiare in un college californiano di cui un proprio caro amico è appena diventato Rettore.
Dio benedica l’America.
Mio padre è il migliore padre del mondo.
Signore dimmi cosa ho fatto di così tremendamente buono nelle mie vite precedenti, ho forse salvato un’intera congrega di vestali da uno stupro?
Voglio urlare di gioia fino a non avere più voce, farmela tornare e poi urlare ancora.
Datemi un pizzicotto.
Sto sognando.
YAAAAAAAAAWP.

“Perché il mondo mi odia?” forse non è nella lista originaria, in effetti, ma è indubbiamente quella che passa per la testa di Henry Sutton in quel momento. Apre la bocca, ma non ne esce alcun suono. Suo padre fissa lui e lui fissa suo padre, incapace di articolare in una sola frase tutto il proprio disappunto per la notizia appena ricevuta.
«Scusa, come?» domanda, perplesso. Quel colosso di un metro e ottanta che è suo padre inarca un sopracciglio e fa la classica smorfia da uomo borghese compiaciuto di sé.
«Non mi devi ringraziare.»
«No, guarda che non hai capito…»
«Penserò io a tutti i dettagli, vado a fare una telefonata o due.»
Il signor Sutton, estremamnte soddisfatto, esce dal soggiorno e lascia il figlio a fissare una porta chiusa. Cadono alcuni secondi di silenzio, poi cade anche Henry, in ginocchio sul tappeto pregiato.
«Signore dimmi cosa ho fatto di così tremendamente pessimo nella mia vita precedente, ho forse stuprato un’intera congrega di vestali?»
Gli risponde il silenzio della casa.


Ponyporn Mansion, è così che Oliver Moore ha battezzato il suo appartamento da studente la scorsa estate. Non ricorda molto di quella serata, effettivamente. Ricorda che c’erano dei cocktail alla vodka (buona la vodka!) e ricorda che il suo coinquilino, quel gran simpaticone di Riky (gli mancherà, Riky!), voleva fare un tributo alla Playboy Mansion e che lui, invece, si era fissato coi pony. Non è assolutamente in grado di ricordare perché, ma dopotutto i perché non sono così importanti, no? E' passato ormai un anno dal battesimo ufficiale della casa e quel nome ancora non l’ha stufato. E’ molto evocativo. Gli ricorda i cocktail alla vodka, Riky che lancia bottiglie di champagne contro le varie pareti e la musica assordante che aveva messo Lucas nella radio. Ahhh, bei tempi, quelli. Gli mancheranno decisamente, ora che Riky è andato a studiare in Kansas, vicino alla famiglia, e Ponyporn è un pochino più vuota. Vi è appena tornato anche lui, dopo un’estate intera dalla sua famiglia, ed è fermo nell’ingresso a contemplare la vetrata del salotto, un quadro sul mare. Sospira, emotivamente coinvolto dai ricordi. Embè, non è il caso di essere tristi, no? Finisce un’era, se ne apre un’altra!
Oliver raccoglie il proprio trolley color arcobaleno e si avvia verso una delle due stanzette sul lato destro del salotto, quella tappezzata di poster e quadri –l’altra è stata ripulita dalla roba di Riky ed è così vuota e triste da mettergli angoscia. Ma non rimarrà vuota e triste a lungo: il nuovo coinquilino arriva oggi stesso, si sono sentiti via telefono e Oliver gli ha detto di aspettarlo all’aeroporto sotto il cartello ‘ritiro bagagli’, senza muoversi.
«Dovrei atterrare alle quattro.» aveva detto il nuovo coinquilino, con un accento inglese così pulito da fare paura. Oliver aveva disteso un sorriso contro lo schermo del proprio cellulare.
«Sì, sì, ho capito, non sono ritardato. Ci vediamo domani.»
Sistema i vestiti nell’armadio, incolla i poster che si sono staccati e ne mette uno nuovo sul soffitto, pone il proprio portatile sulla scrivania e si sdraia sul letto, respirando aria di casa. Consulta l’orologio: le tre e mezza; beh, ha tutto il tempo di farsi un bel bagno in mare, dunque.


C’è un ragazzo biondo dall’aria pulita, sotto il cartello ‘ritiro bagagli’ dell’aeroporto internazionale. Deve essere più o meno l’unica persona in tutta la California ad indossare delle scarpe, quel giorno assolato di fine estate, nonché dei jeans. Ha due grosse valigie nere posate vicine, le cuffie di un’ipod nelle orecchie e, nelle ultime due ore, non si è mosso di mezzo millimetro. Sono passate da poco le sei e mezza quando in cima alla scalinata alla sua destra compare una persona –non è così automatico definirlo “ragazzo”.
«Ehi! Ciao, Henry!» esclama, iniziando a scendere i gradini due a due. Henry si toglie dalle orecchie le cuffie e, pianissimo, volta il viso nella direzione di questo strano figuro che gli si avvicina. Sfoggiando una canottiera a pois colorati. E un ciuffo di capelli decisamente blu e decisamente pieni di brillantini. Le sopracciglia di Henry si aggrottano, del tutto indifferenti al sorriso solare del tizio che, ora, gli sta tendendo la mano. Henry non ci pensa nemmeno a stringerla, e continua a guardarlo con sospetto –quel tizio indossa delle ciabatte con un grosso fiore arcobaleno e una parte di Henry è profondamente e personalmente offesa dalla cosa.
«Ci conosciamo?» domanda, rigido.
«Ci conosceremo» dice il ragazzo dai capelli blu, e non è ben chiaro se sia una promessa o una minaccia «Sono Oliver. E tu non puoi che essere Henry Sutton!»
Nessuna frase potrebbe esprimere i sentimenti di Henry al momento, eccetto forse un urlo a squarciagola, così si concentra con tutto sé stesso per appigliarsi all’ultimo baluardo di normalità.
«Come sai che sono io?»
Il sorriso che si allarga sulle labbra sottili di Oliver Moore ha un che di felino.
«Solo un inglese potrebbe aspettare per tre ore sotto il cartello ritiro bagagli» gli dà una pacca sulla spalla, poi prende uno dei valigioni neri e si avvia su per la scalinata, fischiettando un motivetto. Henry pensa seriamente di scappare, poi pensa che se il suo compito è studiare in quel posto, lui non farà niente di meno e niente di più che studiare in quel posto –Henry SA qual è il suo posto nel mondo, e intende rispettarlo. E’ una cosa che molti non capiscono, ma è sempre stata la sua ideologia di vita; dopotutto, non è una persona cattiva, è solo particolarmente incapace di divertirsi. Afferra l’altra valigia e segue quel tizio strano su per le scale, raggiungendolo dopo una breve corsa.
«Tu-…»
«Hai delle flip flop, Harry?»
Di nuovo, le sopracciglia bionde dell’inglese si aggrottano.
«Henry.» specifica «No.» lo dice come se la sola idea di avere in suo possesso qualcosa con un simile nome ridicolo lo mandasse fuori di testa –è più o meno così.
Siccome ormai sono davanti alle porte dell’aeroporto, Oliver si ferma a contemplare la strada assolata che scorre lì davanti e fa un sospiro teatrale.
«Ehhhh, caro mio. Sei una tela bianca.»
«Scusa, come?» Henry, basito, resta fermo un secondo di troppo: Oliver attraversa la strada e lui è invece bloccato lì sul marciapiede dal pullman che sopraggiunge a tutta velocità. Meglio così, almeno non sente la frase che sta pronunciando Oliver mentre attraversa come se il mondo fosse un palcoscenico, e lui la diva della serata.
«Per tua fortuna io dipingo un gran bene!»


to be continued
 
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4 replies since 12/5/2014, 19:24   93 views
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